La fame nervosa

La “fame nervosa” è il termine comune per indicare ciò che gli studiosi del comportamento alimentare definiscono eating emozionale, cioè “la situazione vissuta da quei soggetti che mescolano le emozioni con l’assunzione di cibo e usano il cibo per far fronte alle emozioni che ogni giorno incontrano”.

Anche chi non è oppresso da problemi di peso raramente mangia solo per soddisfare la fame biologica e per nutrirsi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato la causa dei comportamenti alimentari anomali: essi ritengono che la fame nervosa si sviluppi nella prima infanzia.

Secondo questa teoria, è essenziale che la mamma capisca quando il bambino avverte un reale bisogno di mangiare e quindi soddisfi la fame porgendogli il seno o il biberon, evitando di offrirgli il cibo quando il pianto infantile non è effettivamente una conseguenza della fame. Se questa giusta interpretazione della mamma non si verifica, è probabile che il figlio crescerà senza essere capace di elaborare una giusta identificazione della fame e non saprà distinguere tra questa ed altre sensazioni.

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Così, nell’età adulta diversi stati d’animo come l’ansia, la tensione, la collera verranno interpretati nel modo sbagliato con conseguente assunzione eccessiva di cibo. L’eating emozionale è caratterizzato da vari stili alimentari e diverse sono le motivazioni ed emozioni che portano alla necessità di usare il cibo, spesso in grande quantità, per far fronte a situazioni di noia, di ansia, di rabbia o di depressione.

Il legame tra alimentazione ed emozioni è ormai dimostrato, anche se questo non significa che l’eating emozionale dipenda necessariamente da severi problemi psicologici o da conflitti interiori; infatti anche le emozioni legate alle normali attività di vita quotidiana possono essere uno stimolo per l’assunzione smodata di cibo, talvolta anche in modo compulsivo. L’eating emozionale non è scatenato da una sola causa: ne sono all’origine fattori biologici, psicologici e culturali.

Ecco una lista dei modelli tipici dei soggetti con eating emozionale e dei rimedi suggeriti:

Mangiatori tristi: l’individuo è triste e tenta di sconfiggere la propria tristezza mangiando. La tristezza in genere ha origine da un’analisi realistica di un fatto spiacevole, di una perdita o di una delusione e può essere considerata come la risposta fisiologica dell’organismo ad uno di questi eventi. E’ certamente una sensazione spiacevole, che però può anche rivelarsi utile per aggiungere profondità al significato della vita e, dopo un certo lasso di tempo, si ritorna alla normalità.

Non bisogna confondere la tristezza con la depressione, in quanto quest’ultima deriva invece da una distorsione del pensiero nei confronti dell’evento spiacevole. In un quadro di depressione si tende a valutare la situazione negativa in maniera irrazionale e catastrofica, associandovi numerosi fattori quali: tristezza, basso livello di autostima, pessimismo riguardo al futuro, diminuzione dell’interesse sessuale e dell’energia, modificazione dell’appetito e del peso.

Per aiutare i mangiatori tristi la prima cosa che si può fare è identificare e modificare il loro pensiero irrazionale, tenendo presente che i sentimenti di queste persone non sono determinati dall’evento, ma piuttosto dai loro pensieri nei confronti dell’evento stesso. Un altro aiuto per il mangiatore triste deriva dall’esercizio fisico continuativo, che genera un miglioramento del tono dell’umore, anche quando il soggetto si nasconde dietro pensieri del tipo “non sono uno sportivo” o “è troppo faticoso”. E’ bene ricordare che gli effetti benefici si hanno anche soltanto camminando con frequenza e conducendo una vita più attiva, non è necessario praticare un’attività fisica estenuante.

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Mangiatori ansiosi: in questi soggetti è tipico il legame intercorrente tra ansia e cibo, specialmente se l’ansia deriva dall’apprensione o dalla preoccupazione per un evento futuro che sarà spiacevole o pericoloso. L’ansia è una sensazione diffusa vissuta come una minaccia indefinita per il benessere e non deve essere confusa con la paura, che è il risultato di una sensazione specifica, immediata e fisica.

Il soggetto ansioso tenta di alleviare con il cibo i sintomi di sudorazione, agitazione, tensione, irrequietezza. Per aiutare queste persone è necessario innanzitutto identificare le emozioni e la loro sequenza, i pensieri e le circostanze che creano l’ansia e quindi discutere e modificare in modo razionale l’atteggiamento mentale.

Mangiatori annoiati: la noia è probabilmente la più diffusa forma di mediazione emozionale nell’alimentazione ed è spesso associata all’eating emozionale. Per i mangiatori annoiati, infatti, il cibo è l’unico motivo legittimo per poter interrompere un’attività noiosa. Come esempio di questo si può prendere la pausa durante le ore lavorative, quando si beve il caffè e si mangia la brioche: questo è ritenuto accettabile, mentre non lo sarebbe interrompere il lavoro per leggere il giornale o per fare due passi. Anche la casalinga che si ritrova con del tempo libero e non sa che fare, spesso inizia a cucinare e a mangiare.

La noia non è associata a dei sintomi evidenti, è quindi difficile identificare il vero problema. L’analisi, la registrazione del cibo assunto e il controllo dei momenti in cui ci si lascia andare durante la giornata sono gli strumenti impiegati per evidenziare l’associazione del cibo a situazioni nelle quali il soggetto non aveva niente di interessante da fare.

E’ quindi utile programmare attività piacevoli, non impegnative e, quando questo non fosse possibile, cercare di svolgere le attività noiose in un luogo dove non vi sia del cibo disponibile. Mangiatori soli: questi soggetti usano il cibo come il sostituto di qualcosa che manca: un compagno, un amico o qualcuno con cui condividere la vita. Purtroppo la situazione viene a peggiorare con il conseguente aumento di peso, poiché aumentano le difficoltà a relazionarsi adeguatamente con gli altri.

Si possono distinguere due tipi di solitudine: la prima è causata dalla mancanza di contatti con gli altri, perciò nei soggetti che ne soffrono bisogna cercare di stimolare il rapporto sociale e con il superamento di eventuali pensieri negativi nei confronti della loro capacità di relazionarsi agli altri e del pensiero pessimistico nei confronti di futuri rapporti.

Il secondo tipo di solitudine è caratterizzato da relazioni interpersonali presenti ma estremamente superficiali, tanto che i soggetti in questione hanno paura di condividere i sentimenti con qualcuno, temendo di essere giudicati negativamente e rifiutati. Per risolvere questa situazione bisogna imparare ad identificare uno o due amici reali, a conoscerli meglio, senza pretendere la perfezione nelle persone prescelte.

Ovviamente questo processo richiede molto tempo, perciò bisogna sempre ricordarsi che le grandi amicizie sono caratterizzate dall’impegno e dal susseguirsi di numerosi alti e bassi e che solo superando le possibili incomprensioni si costruisce una relazione stabile e duratura.

Mangiatori arrabbiati: la rabbia, espressa sotto forma di risentimento, gelosia, indignazione o frustrazione può essere associata all’eating emozionale.

Generalmente questi sentimenti derivano dal fatto che il soggetto non riesce ad ottenere ciò che desidera e, quindi, mangia per scaricarsi e per sfogarsi. Il soggetto talvolta soffre di dolori allo stomaco o ai muscoli. Per risolvere questo problema bisogna imparare a gestire la rabbia e per ottenere questo risultato esistono varie tecniche: la prima consiste nell’esternare la rabbia, perché se il soggetto non impara a non reprimere il sentimento, è probabile che si troverà a mangiare senza controllo nei momenti in cui è arrabbiato; un altro sistema consiste nel lavorare sui pensieri irrazionali che producono questo stato emotivo.

Spesso il mangiare in maniera esagerata è l’espressione della rabbia e non un modo per ridurla: ad esempio, alcune donne, arrabbiate con il partner perché ha espresso dei commenti negativi sul loro corpo o sul loro comportamento alimentare, sfogano il loro risentimento mangiando sotto gli occhi del partner come per fargli un dispetto: in questi casi bisogna far capire alle persone interessate che così facendo danneggiano soltanto se stesse.

Bisogna far loro capire che devono mangiare in modo corretto per se stesse e non per sfidare o per fare piacere agli altri, e che devono parlare apertamente con chi sta loro attorno del proprio peso e del proprio comportamento alimentare, particolarmente con coloro i quali le criticano.

E’ possibile individuare tre modi di comunicare: passivo, aggressivo e assertivo. Il passivo parla sottovoce, con gli occhi abbassati, usa parole del tipo “forse”, “piuttosto”, “se tu potessi” ed è incapace di rifiutare le richieste per paura di offendere gli altri. La rabbia non viene quindi esternata, il soggetto la rivolge verso se stesso per la propria incapacità di farsi valere e il risultato che ne deriva è il mangiare in eccesso.

L’aggressivo basa la propria comunicazione sulle sue necessità e su ciò che vuole: parla a voce alta e spesso discutendo arrossisce; usa termini del tipo “mai”, “sempre” o “impossibile”, a volte minaccia ed è sempre in lotta con gli altri, che sono ai suoi occhi i nemici o le vittime. La sua incapacità di modificare l’ambiente che lo circonda si trasforma in frustrazione e rabbia e quindi si scaglia sul cibo per sfogarsi.

L’assertivo comunica esprimendo direttamente le sue necessità, la sua volontà e i suoi desideri, tenendo conto dei sentimenti e delle emozioni della persona con cui sta parlando.

Normalmente ottiene i cambiamenti desiderati nelle attitudini e nei comportamenti del suo interlocutore, ma sempre rispettandone i diritti. Nelle sue azioni è sempre consapevole che esiste anche il prossimo, non si aspetta che gli altri facciano tutto per lui e non pensa di dover fare tutto per gli altri.

L’assertivo quindi non tende a diventare arrabbiato né frustrato, è per questo che ha un maggior controllo sul proprio comportamento alimentare. Sarebbe quindi una buona cosa imparare a essere assertivi proprio per poter esprimere le opinioni personali, far valere i propri diritti e far fronte ad eventuali violazioni dei diritti considerati “di tutti”, come la libertà di espressione e di pensiero.

Poche regole possono aiutare ad ottenere questo risultato: bisogna ricordare che ognuno ha il diritto di esprimere ciò che pensa, essere chiari nelle nostre richieste, non criticare la persona con cui si discute, ma solo i concetti che esprime, superare la paura di dire no, accettare con calme le critiche, riflettendo sul fatto che potrebbe esserci del vero in ciò che ci viene detto.

Mangiatori celebrativi: fanno parte di questa categoria i soggetti che trovano impossibile gioire di qualcosa senza abusare con il cibo, e hanno molta difficoltà nel prendere parte ad un evento senza mangiare o bere in eccesso. Se un soggetto soffre di questo problema, deve capire che le occasioni sociali sono fatte per incontrare gente e non per mangiare del cibo superfluo, e che è sempre possibile servirsi di alimenti ipocalorici, a basso contenuto di grassi, anche in queste situazioni.

Dieta e fame nervosa (eating emozionale). E’ molto importante che una persona che si trovi nella situazione di dover perdere peso, impari a distinguere la fame nervosa da quella biologica. Per fare questo può essere utile individuare se si può associare il proprio comportamento alimentare con gli stili di eating emozionale sopra indicati, registrando, accanto agli alimenti introdotti quotidianamente, gli stati emotivi e le sensazioni fisiche associate in quel momento all’ingestione.

Risulterà così possibile distinguere la reale sensazione di fame dalla voglia di cibo stimolata da sensazioni diverse, ma non da un appetito biologico. Una volta imparato a differenziare le due situazioni, si può più facilmente imparare a soddisfare soltanto la fame biologica.

Inoltre è utile associare alla dieta dell’esercizio fisico continuativo, che, oltre a migliorare il tono dell’umore, e quindi a ridurre l’eating emozionale, contribuisce anche a ridurre la fame biologica.

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